L'artista si trova nella stessa posizione del pensatore rivoluzionario, che si oppone all'opinione dei contemporanei e annuncia una nuova verità. (Konrad Fiedler )

venerdì 9 agosto 2013

Era il 9 agosto del 378 d.C. Il giorno che cambiò la storia.


Per raccontare questa storia è necessario fare più di un passo indietro.
Nel 374-375 d.C. la popolazione dei Goti fu spinta violentemente verso occidente dagli Unni, che in quegli anni razziavano e depredavano a più riprese le terre dei Goti, nonostante una strenua, quanto inutile, resistenza.
I Goti arrivarono fin sulla sponda del Danubio, il fiume che segnava il confine dell’Impero Romano d’Oriente e chiesero di poter entrare come alleati.
I comandanti Romani, spaventati dal numero di persone che si ammassavano sulla riva, decisero di mandare degli emissari all’Imperatore Flavio Valente, in quel momento a duemila chilometri di distanza, impegnato ad ammassare legioni e mercenari per muovere guerra contro l’Impero Persiano.
Valente fu ben felice di accogliere i Goti, pensò che fossero arrivati proprio al momento giusto, sarebbero stati degli ottimi rinforzi per la guerra imminente.
I Goti entrarono nell’Impero. L’ordine era chiaro. Accoglierli, nutrirli, disarmarli e avviarli nelle ricche terre della Tracia dove avrebbero avuto terra da coltivare, il tutto in cambio di soldati per l’Impero.
Le cose presero da subito una direzione sbagliata. I comandanti in loco si rivelarono corrotti e cominciarono a sfruttare la situazione. Le razioni di cibo, che l’impero mandava a titolo gratuito, erano invece rivendute ai Goti che in breve tempo furono ridotti alla fame e alla disperazione.
Uno dei principali responsabili della situazione era Lupicino, il responsabile militare Romano in Tracia, che dopo aver depredato i Goti sulla riva romana del Danubio, decise il loro spostamento verso l’interno.
Giunsero in breve a Marcianopoli, una città con possenti mura che illuse sia il popolo Goto che i soldati Romani di scorta, di essere finalmente arrivati. La città vietò l’ingresso a tutti, fatta eccezione per Lupicino stesso e i principali comandati Goti, tra cui Fritigerno.
La marcia era stata lunga, i Goti erano ormai allo stremo, i soldati Romani, dal canto loro, erano dei limitani (truppe di guardia al confine) ed erano nervosi, cosi lontani dalle loro caserme ed in grande inferiorità numerica rispetto ai Goti.
Gli animi s’incendiarono e ben presto i soldati Romani di scorta furono uccisi e spogliati di armi e armature. Intanto Lupicino e gli altri stavano banchettando a palazzo, il piano era semplice, far ubriacare i comandati Goti per poi ucciderli, sennonché furono i Romani ad ubriacarsi per primi e quando cominciarono gli scontri, Fritigerno e gli altri fuggirono e si unirono alle truppe iniziando la rivolta.
Lupicino era un funzionario e come tale ebbe timore di informare l’imperatore di quanto accaduto, cosi radunò tutti i legionari e mercenari abbastanza vicino da poterlo raggiungere e si schierò in battaglia alle porte di Marcianopoli.
La battaglia fu una catastrofe per l’esercito Imperiale, che fu travolto e annientato dai Goti, la vittoria diede morale ai Goti che per anni rimasero padroni incontrastati della Tracia, della ricca Tracia. Nel frattempo il confine non era più presidiato, i limitani di Lupicino erano ormai morti da mesi alle porte di Marcianopoli cosi Goti, Alani e persino Unni attraversarono il fiume unendosi a Fritigerno nei saccheggi, fonti storiche suggeriscono che all’apice delle razzie i Goti avessero al seguito cinquemila carri pieni di bottino!
L’imperatore era lontano, continuava ad ammassare truppe al confine per l’attacco alla Persia e proprio non voleva rinunciare alla campagna militare, cosi chiamò  Traiano e Profoturo, due dei suoi generali e li spedì in Tracia con il compito tassativo di eliminare una volta per tutte Fritigerno.
I due generali di Valente a capo di tre legioni si unirono a Ricomere e alla sua legione occidentale mandata da Graziano in aiuto dello zio.
I tre generali Romani erano certi della vittoria, per alcuni giorni si limitarono a seguire la colonna dei Goti in movimento aspettando il momento buono per sferrare l’attacco. Il momento sembrò giunto quando i Goti disposero i carri a cerchio per riposare.
L’intenzione dei generali romani era quella di attendere che la colonna si muovesse e di attaccare la retroguardia.
Il piano andò in malora perché nelle legioni romane il tasso di diserzione era alto e molti “legionari” erano “barbari” tra cui molti Goti di cui l’impero si serviva abbondantemente per loro capacità e forza in combattimento.
Fritigerno fu quindi informato dei piani di Traiano e gli affrontò sul posto.
Lo storico romano a cui dobbiamo la conoscenza degli avvenimenti raccontati è Ammiano Marcellino.
Romani e Goti si fronteggiarono per un’intera giornata, i morti furono moltissimi da ambo le parti, al calar della notte le ostilità furono interrotte (come d’usanza ai tempi).
I generali romani furono talmente provati dalla battaglia che non se la sentirono di continuare il giorno dopo e cosi andarono via.
Ricomere verso occidente, Traino e Proturo verso sud dove furono raggiunti da un altro generale mandato da Valente: Saturnino e dalle sue truppe. La strategia romana cambiò, temendo un altro scontro frontale come quello dei Salici, appena combattuto, sbarrarono la strada ai Goti sulle montagne contando di poter difendere agevolmente i passi e costringere i Goti nella zona meno ricca della Tracia per tutto l’inverno portandoli di fatto alla fame o alla fuga.
Saturnino riuscì per molto tempo a respingere i Goti in questo modo, ma si dimenticò che ad est il confine sul Danubio era ancora aperto, nessuno era stato mandato a sostituire i limitani morti a Marcianopoli.
Cosi Goti, Alani e persino Unni attraversarono il Danubio, Saturnino rischiava di essere preso alle spalle e cosi frammentò le sue legioni e le spedì nelle città del sud per trascorrere l’inverno. Ovviamente i Goti non persero un solo giorno e con i valichi deserti piombarono nuovamente verso sud.
Valente era sempre lontano. Non voleva rassegnarsi all’inevitabile e cosi mandò un quarto generale contro i Goti, Sebastiano. Il nuovo generale chiese poco, appena duemila legionari di sua scelta, l’idea era quella di attuare una contro guerriglia. Sebastiano per mesi intercettò singole colonne di Goti, tese imboscate notturne e non fece prigionieri, ma non bastò. I goti erano tremendamente vicini a Costantinopoli. La capitale di Valente.
L’imperatore, forse consigliato dai suoi uomini di fiducia, siglò un trattato di pace con la Persia e si mosse con tutte le legioni disponibili verso Costantinopoli. L’accoglienza fu ostile, l’imperatore era mal visto e venne fischiato e contestato.
Valente ruppe gli indugi e alla testa di almeno 50 mila uomini marciò verso la Tracia, verso i Goti, verso Fritigerno e verso Adrianopoli.
Possiamo immaginare il suo stato d’animo.
Frustato per il trattato con la Persia, per i fischi ricevuti nella capitale e per l’inettitudine di ben 5 dei suoi generali, marciò alla testa di quello che pensava essere un esercito invincibile, verso un nemico che odiava con tutto se stesso. Cosi accecato e arrogante che non aspettò nemmeno il nipote Graziano (imperatore d’Occidente che alla testa delle sue legioni stava muovendo a tappe forzate per aiutare lo zio).
Era l’imperatore Valente e non avrebbe permesso al suo ambizioso nipote di prendersi onore e gloria, no, i Goti li avrebbe spazzati via lui stesso e sarebbe tornato a Costantinopoli carico di gloria e onore.

Ed eccoci arrivati al 9 agosto di quel lontano 378 d.C.
Adrianopoli è vicina, Valente schiera le truppe in battaglia. È caldo, i legionari sono assetati e nervosi, i Goti danno fuoco a delle sterpaglie cosi da mandare fumo tra le fila romane.
Fritigerno ha schierato le sue truppe davanti al cerchio di carri.
Arrivati a questo punto è doverosa una precisazione.
Valente è un cristiano ariano, vale a dire convinto che Dio, Gesù e lo Spirto Santo siano tre entità differenti.
Dal punto di vista religioso è intollerante ed anche per questo scarsamente amato dal popolo tra cui era diffusa l’altra forma di cristianesimo, quella legata alla Chiesa di Roma.
Ironia della sorte anche Fritigerno è un cristiano ariano e così tra i due eserciti schierati cominciarono a fare la spola delle ambascerie, sostanzialmente nessuno aveva interesse allo scontro, Fritigerno propone di mettere una pietra sopra al passato e di tornare sostanzialmente al vecchio accordo di due anni prima. Per cui lui e i suoi Goti avrebbero combattuto per l’impero in cambio della Tracia.
La trattativa sembrò ormai a buon punto  e nessuno credeva più alla battaglia.
Quando ormai l’accordo era imminente, un reparto di cavalleria Romana di arcieri arrivò cosi vicino alla fanteria Gota che non riuscì a frenare l’istinto e attaccò provocando molte perdite, la reazione della cavalleria Gota fu immediata, il reparto Romano venne accerchiato e distrutto.
La diplomazia aveva fallito. La battaglia di Adrianopoli era cominciata.
La cavalleria Romana partì all’attacco senza l’appoggio della fanteria, si trovò troppo avanti e isolata facile preda per i Goti che infatti colpirono durissimo, la cavalleria in rotta andò a cozzare contro la propria fanteria.
La confusione era massima, non si hanno notizie di ordini di Valente per tutta la durata della battaglia.
I legionari spronarono la cavalleria e tornarono a spingere i Goti verso il loro cerchio di carri. L’ala sinistra dello schieramento giunse al bordo esterno, ma una volta lì si accorse con orrore di non essere stata seguita dal resto della truppa e furono massacrati insieme al resto della cavalleria.
La battaglia era ormai decisa.
La cavalleria romana era stata annientata, e le legioni, accerchiate, perdevano lentamente posizione, ammassandosi verso il centro. La lotta fu durissima, accerchiati da un numero di nemici superiori vennero alla fine annientati e lo stesso imperatore ucciso sul campo di battaglia insieme a gran parte dei suoi generali tra cui Traiano e Sebastiano.
Due terzi dell’esercito imperiale venne distrutto sul posto, il resto costretto alla fuga e giustiziato a piccoli gruppi.
I Goti vincitori si spinsero fino alle porte di Costantipoli, poi decisero che era più vantaggioso per loro razziare le campagne piuttosto che assediare grandi città.

L’impero Romano d’oriente aveva subito la più colossale delle sconfitte e la sua stessa esistenza era ridotta ad un filo. Graziano nominò Teodosio come Imperatore d’Oriente.
La sconfitta di Adrianopoli segna di fatto l’inizio della fine dell’impero Romano d’Occidente, può sembrare una contraddizione visto che il luogo della battaglia, l’imperatore e legioni erano Orientali, ma fu proprio per questo, fu proprio per le scelte compiute da Teodosio prima e dai suoi successori dopo che i Goti e le altre popolazioni “barbare” ormai invincibili sul campo di battaglia erano sospinte verso occidente, senZa contare che da quel momento in poi, soprattutto ad oriente, l’esercito divenne composto principalmente da mercenari barbari.
Trent’anni dopo Adrianopoli (410 d.C.) Alarico Re dei Visigoti e generale Romano a capo dei suoi uomini razzio Roma.