L'artista si trova nella stessa posizione del pensatore rivoluzionario, che si oppone all'opinione dei contemporanei e annuncia una nuova verità. (Konrad Fiedler )

giovedì 26 aprile 2012

Marcia Radicale a Roma


“sotto il sole non siamo pochi”, parola di Marco Pannella.
I radicali non forniscono i numeri della giornata, poiché la marcia non era né una prova di forza né un esibizione muscolare.
I mezzi a disposizione non sono quelli dei grandi partiti di massa o dei grandi sindacati nazionali, il palco è ricavato dal piano di un camion scoperto utilizzato anche da un gruppo di musicisti jaz, chiamati a far da colonna sonora alla giornata.
I cartelli, gli striscioni e le bandiere sono per la maggior parte realizzate in modo artigianale.
Il corteo è in pieno stile radicale. Festoso e variopinto. Pannella dal palco lo descriverà come “molto colorato” promettendo che in futuro lo sarà ancor di più. Del resto i radicali sono un partito transnazionale con un sogno europeista mai sopito.
La marcia scorre veloce in una Roma quasi addormentata e insolitamente silenziosa, grazie anche alla chiusura al traffico di Corso Vittorio Emanuele.
Da Regina Coeli fino a Corso Risorgimento, dove Pannella improvvisa un breve discorso a braccio. Un aperitivo agli interventi previsti a partire dalle 12.30 a Piazza San Silvestro.
Colorati e variopinti come detto, ma non solo nell’aspetto, anche nelle idee, forse soltanto in un corteo radicale si possono trovare cosi tante sensibilità diverse sfilare insieme senza tensione. Solo qui, forse, un giornalista sicuramente non radicale come Luigi Paragone (legato a comunione e liberazione) può essere accolto, ascoltato e applaudito.
Solo qui, forse, si possono ascoltare Alfonso Papa e Sergio D’Elia.
Tanti gli interventi che hanno lasciato un segno, tante le parole che hanno solcato la coscienza provocando una piccola cicatrice.
La sorella di Stefano Cucchi, Ilaria, che ha voluto ricordare la storia di suo fratello che attende ancora giustizia.
Le parole straziate di Cira Franchi, mamma di Daniele morto in circostanze dubbie nel carcere francese di Grasse. “Mi hanno restituito una carcassa” è il grido sputato nel microfono per ricordare ai presenti come il cadavere del figlio le sia stato riconsegnato, dalle autorità francesi, privo di organi interni.
Dolore raccolto da Enrico Sbriglia, direttore del carcere di Trieste, che a queste donne chiede “perdono”.
Il popolo radicale ai piedi del palco improvvisato ascolta e discute, applaude e dibatte, capannelli di persone sono sparsi ovunque, sembra un laboratorio politico a cielo aperto e forse è esattamente questo.
Intanto sul palco gli interventi si susseguono.
Kalsang Dolker, presidente della comunità tibetana in Italia, grida il sogno di un Tibet finalmente libero.
Emozione tra i partecipanti per l’intervento in diretta audio dal Mali, del presidente del PRT Demba Traorè, tradotto a braccio da un dirigente radicale.

Di questa marcia per l’amnistia, la giustizia e la libertà non troverete molto notizie in rete, nonostante la formale adesione di sindacati e associazioni importanti quali, ad esempio, la Cigl.
Sicuramente non è stata un adunata oceanica, ma la bontà delle idee non potrà mai essere misurata e per questo giudicata in base ad un asettico conteggio matematico.
Emma Bonino, storica leader del movimento, ha ricordato con forza la necessità di un amnistia legale e trasparente in sostituzione a quella clandestina, opaca e di classe che si concretizza con le oltre 400 mila prescrizioni l’anno.
Dietro  di esse c’è un reato rimasto impunito e una vittima senza giustizia.
La proposta è articolata e non si esaurisce con l’amnistia, ma come per altre battaglie radicali ricordate sul palco dai massimi dirigenti del movimento, c’è la necessità di condensare un problema complesso partendo da una singola battaglia facilmente comprensibile da tutti.

La discussione è aperta. Almeno cosi dovrebbe essere in un paese normale.

 © Marco Gunnella