“sotto il sole non siamo pochi”,
parola di Marco Pannella.
I radicali non forniscono i numeri
della giornata, poiché la marcia non era né una prova di forza né un esibizione
muscolare.
I mezzi a
disposizione non sono quelli dei grandi partiti di massa o dei grandi sindacati
nazionali, il palco è ricavato dal piano di un camion scoperto utilizzato anche
da un gruppo di musicisti jaz, chiamati a far da colonna sonora alla giornata.
I cartelli, gli
striscioni e le bandiere sono per la maggior parte realizzate in modo artigianale.
Il corteo è in pieno
stile radicale. Festoso e variopinto. Pannella dal palco lo descriverà come
“molto colorato” promettendo che in futuro lo sarà ancor di più. Del resto i
radicali sono un partito transnazionale con un sogno europeista mai sopito.
La marcia scorre
veloce in una Roma quasi addormentata e insolitamente silenziosa, grazie anche
alla chiusura al traffico di Corso Vittorio Emanuele.
Da Regina Coeli fino
a Corso Risorgimento, dove Pannella improvvisa un breve discorso a braccio. Un
aperitivo agli interventi previsti a partire dalle 12.30 a Piazza San
Silvestro.
Colorati e
variopinti come detto, ma non solo nell’aspetto, anche nelle idee, forse
soltanto in un corteo radicale si possono trovare cosi tante sensibilità
diverse sfilare insieme senza tensione. Solo qui, forse, un giornalista
sicuramente non radicale come Luigi Paragone (legato a comunione e liberazione)
può essere accolto, ascoltato e applaudito.
Solo qui, forse, si
possono ascoltare Alfonso Papa e Sergio D’Elia.
Tanti gli interventi
che hanno lasciato un segno, tante le parole che hanno solcato la coscienza
provocando una piccola cicatrice.
La sorella di
Stefano Cucchi, Ilaria, che ha voluto ricordare la storia di suo fratello che
attende ancora giustizia.
Le parole straziate
di Cira Franchi, mamma di Daniele morto in circostanze dubbie nel carcere
francese di Grasse. “Mi hanno restituito una carcassa” è il grido sputato nel
microfono per ricordare ai presenti come il cadavere del figlio le sia stato
riconsegnato, dalle autorità francesi, privo di organi interni.
Dolore raccolto da
Enrico Sbriglia, direttore del carcere di Trieste, che a queste donne chiede “perdono”.
Il popolo radicale
ai piedi del palco improvvisato ascolta e discute, applaude e dibatte, capannelli
di persone sono sparsi ovunque, sembra un laboratorio politico a cielo aperto e
forse è esattamente questo.
Intanto sul palco
gli interventi si susseguono.
Kalsang Dolker,
presidente della comunità tibetana in Italia, grida il sogno di un Tibet
finalmente libero.
Emozione tra i
partecipanti per l’intervento in diretta audio dal Mali, del presidente del PRT
Demba Traorè, tradotto a braccio da un dirigente radicale.
Di questa marcia per
l’amnistia, la giustizia e la libertà non troverete molto notizie in rete,
nonostante la formale adesione di sindacati e associazioni importanti quali, ad
esempio, la Cigl.
Sicuramente non è
stata un adunata oceanica, ma la bontà delle idee non potrà mai essere misurata
e per questo giudicata in base ad un asettico conteggio matematico.
Emma Bonino, storica
leader del movimento, ha ricordato con forza la necessità di un amnistia legale
e trasparente in sostituzione a quella clandestina, opaca e di classe che si
concretizza con le oltre 400 mila prescrizioni l’anno.
Dietro di esse c’è un reato rimasto impunito e una
vittima senza giustizia.
La proposta è
articolata e non si esaurisce con l’amnistia, ma come per altre battaglie
radicali ricordate sul palco dai massimi dirigenti del movimento, c’è la
necessità di condensare un problema complesso partendo da una singola battaglia
facilmente comprensibile da tutti.
La discussione è
aperta. Almeno cosi dovrebbe essere in un paese normale.
© Marco Gunnella
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