Guardo il
display del cellulare e mi accorgo di essere in anticipo, mi
avvio alla fermata del tram, attendo oltre 15 minuti prima dell’arrivo
del 105 stracolmo di persone come sempre.
Arrivo a Piazza Vittorio dopo le 20. Asiatici, cinesi e slavi popolano la piazza. Alcuni
bevono birra altri tornano a casa con le buste della spesa.
Mi dirigo in
via Conte Verde cercando il “Piccolo Apollo”.
Entro nella
struttura che intuisco essere una scuola a destra un breve corridoio e delle
scale mi conducono in un ambiente piccolo dove alcuni volontari gestiscono
l’afflusso in sala.
Il luogo è
piccolo e accogliente. Un aperitivo accoglie gli spettatori all’ingresso.
Mi metto in
ultima fila e aspetto l’inizio delle proiezioni. Passano i minuti e la sala si
riempie rapidamente. I posti a sedere si esauriscono ed alcuni devono
sistemarsi sugli scalini.
Gianluca,
uno dei responsabili di AMM (archivio delle memorie migranti) presenta la
serata “il cinema per Lampedusa” anteprima del Lampedusa in festival che si
terrà dal 19 al 23 luglio.
Prima della
proiezione dei due cortometraggi in programma: “Chiamatemi Ismail” e “Soltanto
il mare” viene allestito con Lampedusa un collegamento telefonico con uno degli organizzatori del festival.
Segue una breve presentazione del primo cortometraggio ad opera del regista: Paolo
Briguglia.
Il film
narra la storia d’amore tra Ismail e Maria. Senegalese lui, palermitana lei. I
due vivono una bruciante storia d’amore che culmina con il concepimento di un
figlio. Il padre di Maria si intromette nella storia, picchiando e minacciando
Ismail.
I due
ragazzi si lasciano e lui torna alla vita di sempre. Alla madre in Senegal continua
a spedire foto in cui si mostra in una realtà fittizia, una bella auto, una
bella casa e una famiglia. Un modo ingenuo per rassicurare la madre
rassicurando se stesso, ponendo quelle immagini come punto di arrivo, come
traguardo. Una finzione in cui proietta sogni
di integrazione e riscatto sociale.
Il film dura
15 minuti circa ed è stato girato in quattro giorni e mezzo.
Le luci si
riaccendono per ospitare un breve intervento di un responsabile nazionale
dell’Arci che espone le attività dell’associazione.
Poi prendono
la parola i registi della seconda pellicola: Dagmawi Yimer, Giulio Cederna e Fabrizio
Barraco.
Dag era uno dei
migranti sbarcati a Lampedusa nel 2006 che ha deciso a distanza di sei anni di
tornare per girare un documentario.
Come ha
raccontato durante la presentazione del film, tre sono le cose che lo differenziano
dal 2006:
Avere la
telecamera in mano.
Aver
imparato la lingua Italiana.
Avere un
foglio di carta che gli consente di girare libero.
Dag mostra
un volto dell’isola sconosciuto, gli isolani da sempre “ultimi” diventati “penultimi”
dopo gli sbarchi.
Attraverso
le tante testimonianze raccolte tra i residenti si comprende come fosse
fuorviante l’immagine riprodotta dai media di un’isola felice rovinata e sporcata
dai profughi.
Gli isolani
si presentano davanti la telecamera di Dag raccontando i loro problemi, ad
esempio di quanto costa far nascere un bambino per l’assenza di strutture
adeguate nell’isola, un importo quantificato in diecimila euro.
La
spontaneità è l’arma segreta di questo film documentario, aspetto che il pubblico
in sala ha più volte apprezzato durante e dopo la proiezione.
Dag nel 2006
era uno dei tanti senza volto che abbiamo visto transitare a Lampedusa, molti
di loro li abbiamo dimenticati nei centri di accoglienza altri negli aerei
mentre venivano espulsi o in fondo al mare dopo i naufragi.
Dag ora ha una volto, una telecamera e una
storia da raccontare.