L'artista si trova nella stessa posizione del pensatore rivoluzionario, che si oppone all'opinione dei contemporanei e annuncia una nuova verità. (Konrad Fiedler )

giovedì 21 marzo 2013

dall'occhio al cervello



Si guarda con gli occhi, ma si vede col cuore.
Una frase romantica che tutti conoscono, ma la giusta riformulazione sarebbe: si guarda con gli occhi, ma si vede col cervello.
L’occhio è un organo molto complesso che potremo sinteticamente dividere in tre zone.
La prima è la parte esterna, la cornea, il cristallino e l’iride che hanno il compito di ricevere i quanti di luce provenienti dall’esterno, questi impulsi fotochimici vengono poi elaborati dalla retina, la parte più interna del bulbo oculare che provvederà ad una prima riorganizzazione delle informazioni ricevute e alla loro trasformazioni in impulsi elettrici da inviare all’area del sistema nervoso centrale deputata alla vista tramite il nervo ottico.
Il cervello elaborerà questi impulsi in “immagini”. Provvederà a decodificare gli impulsi elettrici mostrandoci cosi il mondo che ci circonda.
Tuttavia  gli impulsi catturati dal sistema occhio renderebbero la nostra visione capovolta, rimpicciolita e bidimensionale.
Solo con la successiva elaborazione del cervello queste informazioni vengono riposizionate, colorate, ingrandite e rese tridimensionali, in altre parole è il cervello che ricostruisce su basi probabilistiche l’ambiente che ci circonda.
Probabilistiche in quanto le informazioni ricevute vengono “lavorate” dal cervello in modo da restituire alla nostra coscienza un’immagine comprensibile della “realtà”.
Questa elaborazione consente di dare profondità alla scena, di collocare un edificio più lontano rispetto ad un altro, di percepire il movimento i colori e cosi via, ma il cervello non elabora solo questo, il cervello riadatta le informazioni in base alle sue esperienze, alle cose già viste, alle cose che ha studiato, alla propria cultura e all’ambiente in cui vive.
Per questo persone diverse vedono cose diverse. Per questo in criminologia si considera la testimonianza oculare come una prova debole rispetto a quella scientifica. Perché il cervello, molto più spesso di quello che si immagina, presume, riempie e cancella informazioni.
Può sembrare incredibile, ma faccio due esempi.

1: abbiamo parlato del nervo ottico che trasferisce impulsi elettrici dalla retina al sistema nervoso centrale. Il punto in cui si collega con l’occhio e per noi un punto cieco. Una piccolissima frazione di retina priva di “coni” e “bastoncelli” .
Quella porzione di retina non trasmette informazioni, ragion per cui se guardassimo un foglio bianco dovremmo vedere due minuscoli punti neri, uno per occhio, eppure il foglio ci “apparirà” completamente bianco.
Il cervello avendo elaborato le informazioni ricevute come quelle di un foglio di carta bianca, automaticamente presumerà di trovare bianco anche in quei due punti ciechi.
C’è un interessante esperimento che mostra un rettangolo bianco con a sinistra un “x” nera e a destra un punto nero.
Fissando il disegno da circa trenta centimetri e focalizzando lo sguardo sulla “x” il punto nero scompare. Questo perché entra nel punto cieco della retina e il cervello “riempie”  questo punto con lo stesso colore di ciò che lo circonda, il bianco!

2: spesso ci capita di scambiare una sconosciuto per un amico o un famigliare.
Questo avviene in presenza di alcune caratteristiche comuni alle due persone, il cervello presume sia quella che normalmente vediamo e ci restituisce un immagine che in realtà non esiste.

Non tutta la retina è uguale, la fovea è la parte più densa di “coni” ed è quindi la zona più nitida della nostra vista ed il motivo per cui tendiamo naturalmente a spostare il viso e gli occhi per guardare un oggetto, perché tendiamo a portarlo nel suo raggio d’azione che è infinitesimale.
Inoltre quando guardiamo un oggetto, un panorama o un quadro l’occhio effettua due distinte operazioni, rapidi movimenti oculari che scansionano ciò che abbiamo davanti e di cui non serberemo ricordi ma che serviranno al cervello come punti di riferimento e le fissazioni, ciò quando ci fermiamo ad osservare un particolare e queste sono le informazioni che transitano per il nervo ottico, ed il motivo per cui due persone davanti allo stesso quadro possono ricordare particolari differenti.
Il quadro rimane sempre lo stesso, ma è il soggetto che cambia, sono le fissazioni, ciò questi punti che hanno attratto l’attenzione e su cui il nostro occhio si è soffermato, non sono casuali, ma sono il frutto del nostro “io”, della nostra istruzione, della nostra educazione dei nostri interessi e cosi via.
Questo ci porta alla questione principale, la realtà non è qualcosa di diviso rispetto a noi, non c’è oggetto e soggetto, non c’è un tavolo e un osservatore, ma le due cose si fondono insieme e interagiscono.
Niels Bohr, uno dei padri della fisica quantistica, diceva:
“l’albero che si trova nel mio giardino esiste solo quando io lo guardo”.

Un piccolo esperimento potrà chiarire meglio.
Guardate per un minuto la scrivania di un collega, un amico o un fratello per un minuto poi scattate una foto con il cellulare.
Provate a descrivere la scrivania e gli oggetti presenti in dimensione, colori e posizione. Poi confrontate quanto scritto con la foto scattata.
Il risultato sarà che avrete visto meno oggetti, che avrete confuso alcuni colori nonché distanze e dimensione tra gli stessi.
Gli oggetti mancanti dal vostro ricordo non sarebbero esistiti, in quanto non né avreste conservata coscienza, ma questo non li rende meno reali di quelli ricordati.
L’oggetto ricordato e quello non osservato “esistono” entrambi nel piano spaziale di riferimento, ma la differenza l’ha fatta il cervello attraverso il meccanismo delle fissazioni.
Potremo arrovellarci ore cercando di stabilire se un oggetto non ricordato ma immortalato dalla fotocamera del cellulare sia per questo meno reale del resto.

A questo punto è necessaria una precisazione.
Quando si dice “vedere con il cervello” non lo si deve considerare in modo letterale, in quanto non c’è, o perlomeno non è stata ancora individuata, una zona precisa deputata a ciò.
Per ora sappiamo che l’area interessata alla codificazione dei segnali elettrici provenienti dalla retina è situata nella struttura striata della corteccia celebrale occipitale, che a sua volta riceve informazioni pre-eleborate dal “nucleo genicolato laterale”.
Questa porzione del cervello è sostituita da strati neuronali sovrapposti, ognuno con distinte funzionalità che vengono espresse con degli indici che vanno da “V1” a “V5” (V = Vision).
In sintesi:
V1 = la sua funzione è di selezione distributiva delle informazioni ricevute.
V2 = la zona sensibile all’orientamento dei profili “ombra/luce”  e codifica la dimensione spaziale  delle forme statiche, consentendo di riprodurre le informazioni su un campo tridimensionale.
V3 =  la zona sensibile al movimento delle forme, codifica le differenze temporali di moto.
V4 = codifica i colori
V5 = sincronizza e assembla il lavoro delle aree precedenti, ultimo passaggio che trasforma gli originari impulsi elettrici provenienti dalla retina in percezione visiva organizzata, quella che noi consideriamo “realtà”.

Abbiamo parlato dei rapidi movimenti oculari che precedono e seguono le “fissazioni”, il loro nome scientifico è : “saccadi oculari”. Se ne compiono circa 150 mila al giorno e apparentemente sono involontarie e casuali, in realtà sono all’origine della rappresentazione visiva finale.
Il cervello con questi movimenti sincronizzati scansiona l’ambiente circostante, in quella che può essere definita come un operazione di “ricerca e confronto” con ciò che ha già visto o studiato.
Il cervello non è un hard disk, non conserva singoli file d’immagine, cosi quando “vediamo” una sedia il cervello la riconosce come tale confrontandola con centinaia o migliaia di oggetti-sedie visti fino a quel momento e interpreta in tal modo i segnali elettrici corrispondenti, riconosciamo l’oggetto come sedia perché sappiamo che oggetti con certe caratteristiche comuni sono “sedie”, ma questo esula dalla percezione visiva  in quanto tale, perché l’immagine viene rielaborata in base alle conoscenze del soggetto.
Un bambino, ad esempio, la prima volta che osserva una fiamma istintivamente allunga la mano, perché l’immagine che il cervello ricostruisce in sé per sé non aiuta il bambino a comprenderla, soltanto esaminandola e soltanto maturando una memoria della stessa potrà associare in futuro una fiamma a qualcosa di pericoloso che non va toccata con mano.

Il limite, sostanzialmente è questo, la percezione visiva non può essere dissociata col soggetto che la riceve, sono in continua e indissolubile correlazione ed per questo che si può affermare che la realtà è soggettiva.

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